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Il territorio, il Casentino e Bibbiena nel Medioevo

 

Il Casentino è stato da secoli definito "Valle Chiusa" soprattutto dai visitatori stranieri. Infatti, qui come in qualsiasi altra valle montana, o in un'isola, la gente sta un po' sulle difensive ed può mostrare un carattere un po' chiuso e freddo. Il Casentino è invece stato, da sempre, una zona di transito e di continuo, incessante ricambio di popolazione. Basta controllare i cognomi dei Bibbienesi o dei Poppesi attraverso i secoli, nei numerosi documenti catastali, per notare come da secolo a secolo cambino la stragrande maggioranza dei cognomi. Poche sono la famiglia originarie del Casentino, che tuttora vi si trovano. Ma vediamo adesso le radici più antiche.

Il confine fra le diocesi di Fiesole ed Arezzo, che oggi taglia in due il Casentino con una linea trasversale alla valle, subito a nord di Poppi e Camaldoli, era il confine meridionale dell'areanota come Casentino nell'alto Medioevo. Da fonti medievali si assume che il nominativo di Casentino si applicava a un'area detta altrimenti Montagna Fiorentina e che comprendeva una buona parte della Val di Sieve, Vallombrosa e parte del versante occidentale del Pratomagno, il che andrebbe d'accordo col denominativo Casuentini di una tribù ligure localizzata a ridosso del territorio aretino ma non parte di esso. Un documento del 1207 dichiara che le pievi di Pelago, Pomino e Tòsina erano situate in agro Casentino.

Aspetti linguistici, ma anche toponomastici e archeologici, fanno ritenere peraltro che questo confine meridionale del Casentino ricalchi abbastanza fedelmente quello Etrusco fra i territori delle città stato di Fiesole ed Arezzo e che i confini storici orientali di queste diocesi indichino, con ugual precisione, i confini della VII Regio Etruria con la VI Regio Umbria.

E' importante notare come il confine naturale fra Romagna e Toscana, ossia il crinale appenninico, che è stato confine politico soltanto per due secoli durante l'era longobarda, costituisca uno dei più forti confini linguistici d'Europa.

La catena appenninica, che divide le due regioni, non costituisce un baluardo naturale tale da giustificare la barriera linguistica che invece vi si osserva - o vi si osservava sino a metà XX secolo.Il dialetto romagnolo appartiene all'area linguistica gallo-italica ed ha il suo confine meridionale nel crinale appenninico, dal Frignano fin sull'Adriatico con il fiume Cesano, in provincia di Pesaro. Quest'area linguistica, come tutte le altre dell'Italia attuale, riflette indubbiamente una distribuzione precedente l'unificazione romana della penisola. Il confine linguistico tosco romagnolo data sicuramente dal VI-V secolo a.C., vale a dire dall'invasione celtica dell'Etruria padana! Il dialetto romagnolo e i vernacoli dell'area limitrofa della Toscana, sono - o erano sino a qualche decennio fa- reciprocamente incomprensibili. I vernacoli del versante toscano hanno un preciso e netto confine solo lungo il crinale appenninico fra La Cisa e Cagli, essi sfumano, infatti, gradualmente nel ligure-parmense, nell'umbro o nel laziale altrove.Questo marcato confine linguistico, fu un confine politico militare fra l'Italia longobarda e quella bizantina, vale a dire fra la Tuscia, l'Esarcato e la Pentapoli, solo fra il VI e l'VIII secolo; né prima, né dopo fu questa linea geografica un confine politico rilevante. Nelle epoche etrusca, romana e medievale, la gente poteva traversare, senza remore di sorta, questo crinale in tutta l'area sopra indicata. Resta da spiegare perché un simile divario linguistico non si riscontri su altri confini politici, neanche quelli presidiati per secoli da eserciti contrapposti. E' curioso notare che nessun linguista del presente o del passato si sia mai posto il quesito.

Qui si propone fortemente l'ipotesi di un abbandono o spopolamento della montagna sul versante romagnolo e quindi una successiva risalita di romagnoli di pianura fino a rioccupare la montagna fino al crinale. Quando questo possa essere accaduto rimane tuttavia da stabilirsi.

Esistono nel Casentino due antiche istituzioni religiose che costituiscono punti di riferimento imprescindibili per la storia e la cultura della valle, questi sono i monasteri di Camaldoli e della Verna.Prima del cristianesimo, due poli importanti del culto in Casentino erano anche il Lago delle Ciliegeta o Lago degli Idoli sul fianco meridionale del Monte Falterona e il santuario etrusco-romano di Sòcana.

Non è affatto detto che queste due località -rivelateci da fortuite scoperte e non da ricerche sistematiche- siano state i più importanti, o gli unici, punti di riferimento del culto e della religiosità popolare locali, il ritenerlo può essere fuorviante. E' del tutto probabile che ve ne siano stati altri e in particolar modo dove eventuali culti pagani sono stati soprasseduti dal culto cristiano tramite una apparizione della Madonna.

E' un fatto sintomatico ovunque che proprio laddove esista oggi un luogo di culto cristiano, ne sia esistito uno anche in epoca pre-cristiana. Si può esser certi che nella maggior parte dei casi le pievi del Casentino siano sorte sopra o in prossimità di templi pagani. In numerosi casi il luogo di culto abbandonato in epoca cristiana non era così importante all'avvento del cristianesimo, altrimenti si sarebbe sovrapposto ad esso un culto cristiano proprio per estirparlo e cancellarne la memoria.

Se è vero che il contadino andava in chiesa la domenica e durante le feste comandate, è altrettanto vero che egli si rivolgeva alla sovrastruttura (o superstizione) per i problemi… più seri. Fra l'altro la lingua latina rendeva incomprensibile e distante il culto cristiano in aree dove non la si parlava da secoli e forse dove non si era mai parlato quel latino.Sul versante romagnolo dell'Appennino, e in particolare in quella che era sino agli inizi del 1900 la Romagna Toscana, sopravvissero sino agli inizi del XX secolo, culti pagani apparentemente immutati dall'epoca etrusco-romana.

Tutti i nomi delle divinità etrusche e romane erano noti ai contadini di Santa Sofia, di Galeata, di san Benedetto in Alpe, ecc. come scoprì Charles Godfrey Leland, un grande antropologo americano che qui condusse serie e approfondite ricerche negli ultimi anni del XIX secolo.

Sul versante toscano e in particolar modo in Casentino, la toponomastica (la scienza dei nomi dei luoghi) dimostra una continuità culturale ininterrotta sin dal 1000-1200 a.C. Si badi bene, continuità culturale, non significa continuità genetica.

La sostituzione genetica avvenuta nel Casentino a seguito delle stragi e delle epidemie causate dalle invasioni barbariche non ebbe luogo, evidentemente, in modo traumatico, ma graduale e fu distribuita nel tempo, in modo da consentire la trasmissione dei toponimi e di altri tratti culturali dagli autoctoni in via di estinzione, agli immigrati che li sostituivano.

Una così densa concentrazione di nomi di luogo preistorici o comunque precedenti agli Etruschi, come si riscontra nel Casentino, non ha eguale in altre parti d'Europa. Rimane quindi un mistero come tracce sorprendenti di paganesimo si siano potute conservare proprio in Romagna, dove già nel VI secolo la popolazione latina era ridotta al 50%, col 40% di Levantini (Siriaci, Armeni, Ebrei, ecc.) e il 10% di Goti, piuttosto che nel Casentino e in Mugello, dove la trasformazione genetica si realizzò in modo lento e culturalmente non traumatico.Potremmo postulare che dal Casentino e dal Mugello, questa tradizione possa essere trasmigrata in Romagna, in secoli successivi alle invasioni barbariche, dove sarebbe sopravvissuta, mentre scompariva gradualmente dal versante toscano, più soggetto ad influenze urbane, almeno in secoli più vicini a noi.Questa è un solo una delle possibili spiegazioni del fenomeno antropologico di straordinaria singolarità che caratterizza l'area di cui fa parte il Casentino.

Il Casentino di oggi è, non solo a nostro parere, la più bella sub-regione della Toscana, e la più ricca di storia visibile e tangibile sul territorio nei suoi castelli, nei monumenti nelle opere d'arte e negli straordinariamente ricchi archivi di documenti scritti. Per chi voglia studiare il Medioevo italiano, gli archivi del Casentino e soprattutto la Biblioteca Rilliana, sono un punto di sosta obbligatorio.Detto questo il Casentino non è un frammento immutato di Medioevo, la valle ha ben poco ha a che vedere, con quello che fu fino agli anni '70 del XX secolo.

Il turista, come il giovane ignaro, che credono di vedere nel paesaggio attuale una Toscana antica o senza tempo, rimarranno delusi osservando una foto Alinari dei primi del XX secolo o anche una diapositiva scattata qui negli anni '70. Il Casentino, come tutta l'Italia post rurale e post industriale, non hanno nulla a che vedere con quello che erano fino alla seconda metà del XX secolo.Il cambiamento radicale ha avuto luogo con le scomparsa dell'uomo rurale:?il contadino.

Ad esempio, Carlo Beni, autore della prima guida moderna del Casentino, riporta che a suo tempo - seconda metà dell'800 - ad Ortignano abbondavano le viti, gli olivi e specialmente i gelsi. Se teniamo presente che questa zona è una delle meno favorevoli all'agricoltura della vite e dell'olivo in tutto il Casentino, potremmo facilmente credere come tutta la valle, spesso sin oltre i 600m di altitudine, fosse ricoperta di vigne e oliveti. Vi erano oliveti e vigne sulla destra del torrente Corsalone, a Banzena e anche a Giona e Pezza, cosa assai difficile da credersi oggigiorno.

Nel 1880 il territorio di Bibbiena era costituito da 2.200 ettari di terreni pianeggianti, 800 ettari di collina e 5.659 di montagna. Di questi le zone incolte occupavano solamente 500 ettari, mentre 300 erano occupati da strade e fiumi, lasciano ben 3.300 ettari a coltivazioni di ogni tipo. Oggi questa statistica va capovolta.

La fitta trama delle "culture promiscue" che rivestiva la maggior parte della superficie della valle e dei pendii montani esposti a sud e sud ovest, è svanita, è scomparso quasi del tutto l'oliveto, sono rare le vigne. Non parliamo poi della totale scomparsa dei pagliai, delle capanne e dei bianchi buoi che in coppia trascinavano aratri, tregge e carri, che naturalmente solo i vecchi ricordano. 

Il paesaggio del Casentino di oggi, tolte le arterie stradali, le aree industriali, e le schiere di case in stile "sintetico", è praticamente tornato ad essere simile, ma solo come colpo d'occhio, a quello che poteva essere 3000 anni or sono, prima cioè dell'introduzione della coltivazione promiscua da parte degli Etruschi. 

L'aspetto esteriore dell'alta montagna, soprattutto laddove esistono vasti castagneti, non é mutato gran ché durante la seconda metà del XX secolo. Un'ispezione ravvicinata rivela, tuttavia, un drammatico degrado del castagneto e in genere di tutto il bosco che mai è stato come adesso, una Jungla abbandonata a se stessa. Anche il bosco era un tempo curato, regolarmente - e sapientemente- tagliato.Le castagne hanno, attraverso i tempi, costituito la fonte alimentare principale delle popolazioni montane, soprattutto prima della diffusione della patata e del granoturco.

In un documento del 1630 si dichiara che nel Casentino le castagne erano: l'alimento principale del paese, come riportano gli osservatori del passato. La cultura del castagno, che si riscontrava in vaste regioni d'Italia ha subito vicende alterne attraverso i millenni, ma il fatto è che i villaggi delle pendici del Pratomagno non avrebbero potuto vivere di sola pastorizia, senza i castagneti e senza i maiali che di castagne si cibavano, altrettanto quanto gli uomini. Insomma, castagne, funghi, maiale salato e formaggio erano i prodotti tipici del Casentino.

Che dire del Casentino attuale? Dante definì crudelmente i suoi ospiti casentinesi "brutti porci, più degni di galle che d'altro cibo fatto in uman uso…" (Purgatorio XIV, 43-44) esattamente quello che direbbe un fiorentino do oggi. Eppure sia nel Casentino, sia nell'adiacente Val di Sieve si parlava l'esatta lingua della Divina Commedia sino agli inizi del XX secolo. Quindi non si può certo considerare questa valle un retroterra fuori dal tempo. Il degrado è cosa recente.Durante gli ultimi trent'anni un vernacolo pseudo-fiorentino si è esteso fino allo spartiacque romagnolo. La lingua del Casentino si è polarizzata sul fiorentino a nord e sull'aretino a sud. La linea di divisione rimane pressoché quella millenaria. A parte queste leggere varianti del vernacolo e la gran varietà di prodotti alimentari tipici che soprattutto l'interesse economico e la moda del momento preservano, cos'altro rimane di casentinese in Casentino? Ahimè, i difetti tipici del provincialismo di ogni retroterra.Una grande estensione della foresta che ricopre l'Appennino tosco-romagnolo, in gran parte dovuta alle piantate di alberi operate da istituti mo-nastici e da granduchi stranieri, è oggi un parco naturale, ma purtroppo solamente in virtù del fatto che i boschi sono abbandonati a se stessi e non perché vi siano le strutture di un parco come intese altrove. Ed inoltre non si capisce perché tutta la foresta, dall'Appennino all'assai più bel-lo Pratomagno, non sia stata inclusa nell'area protetta.

Il Territorio, il Casentino e Bibbiena
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